Le prime 20 candeline per La Locanda del Capitano,
tra maturità e sguardo verso il futuro
di Manuela Zennaro - Repubblica
Il ristorante dello chef Giancarlo Polito festeggia un compleanno importante, con un nuovo spazio "rustico" dal menu "100% made in Umbria" e una cantina sempre più irrobustita
L’entusiasmo è lo stesso di quando, studente universitario a Perugia, Giancarlo Polito scopre la passione per la cucina, ispirato da Angelo Paracucchi. Viaggia in Francia, Spagna e Inghilterra, e tornato in Umbria si innamora di Montone, borgo medioevale dove decide di aprire La Locanda del Capitano. Da allora sono passati 20 anni, il ciuffo ribelle che ricade sulla fronte è lo stesso di ieri, con qualche filo argentato in più. Niente bilanci, c’è ancora molto da fare, nuove sfide da affrontare. Nel futuro del dinamico chef di origine salentina, ex tennista professionista, c’è spazio per la cucina, e per altre passioni come la musica, la fotografia e lo sport. “Quando sono tornato in Umbria, oltre 20 anni fa, cercavo un borgo che fosse unico e ben collegato. Montone si è rivelato l’ideale, i piccoli paesi mi sono sempre piaciuti, inoltre questa regione è lenta, la amo anche per questo. La lentezza permette di percepire cose che normalmente sfuggono, quando si è costretti ad andare di corsa”.
Quest’anno La Locanda del Capitano compie 20 anni. L’edificio è antecedente l’anno Mille, antica residenza del capitano di ventura Braccio da Montone. “Era un rudere – ricorda Polito -, ha richiesto sacrifici enormi, ma desideravo da sempre aprire un piccolo hotel con annesso ristorante gourmet”. Dieci camere, una sala con 35 coperti, e verande affacciate sul borgo medioevale dove cenare in estate. “L’attività ha avuto inizio 20 anni fa, con la festa per il mio matrimonio, a me sembra ieri. A volte mi capita di sfogliare i menu dei primi anni. Confesso che quei piatti non mi piacciono più, segno che nel tempo è sopraggiunta la maturità, ed è cresciuta la voglia di sperimentare”. Anche la cantina si è irrobustita, con circa 700 referenze italiane e francesi. “Delle più importanti sono disponibili le migliori annate – prosegue Polito -. Per ogni vino è presente l’etichetta e la descrizione, sono un pignolo e un esteta, ricerco continuamente la bellezza, nel lavoro e nella vita. Per questo è necessario per me vivere lontano dallo stress, ascoltare la musica mentre cucino, praticare sport e dedicarmi alla fotografia. In una grande città mi sentirei ingabbiato, qui invece sono libero”.
Due anni fa Giancarlo Polito apre Tipico Osteria dei Sensi, al piano sottostante La Locanda del Capitano. Ambiente spartano, quaranta posti, tavoli sistemati all’aperto nella bella stagione. Un progetto di valorizzazione dei sapori umbri, portato avanti con il socio Paolo Morbidoni. “È una dichiarazione di guerra alle finte osterie – aggiunge lo chef -. Qui non ci accontentiamo di proporre piatti a base di ingredienti italiani. Abbiamo voluto restringere il campo, e utilizzare prodotti 100% made in Umbria, acqua e caffè inclusi”.
Il benvenuto è una sfoglia croccante di polentina del Molino di Trevi, con lardo casereccio e caviale di tinca del Trasimeno, seguito da una fonduta di parmigiano con tuorlo d’uovo croccante, caviale di aringa e tartufo. “Utilizzo il parmigiano vacche rosse, dotato di consistenza e maturità olfattiva importanti. Lo sciolgo a bagnomaria con poca panna fresca e lo faccio addensare, creando una vellutata. Ricopro il tuorlo d’uovo con il pangrattato, lo metto per 5 ore in frigo, quindi lo friggo e lo completo con una quenelle di caviale di aringa, dressando il tutto con lamelle di tartufo fresco”.
Il primo piatto è uno spaghettone Verrigni con pesto di erbette spontanee, mantecato con tartufo dell’alta valle del Tevere, bottarga e croccante di acciuga, mente il secondo piatto è una quaglia in tre cotture con perle di foie gras, guazzetto di stravecchio di Modena e visciole selvatiche. “Il petto della quaglia viene tostato velocemente su una padella francese, quindi cotto a bassa temperatura sottovuoto con un trito di erbette aromatiche. Delle due cosce, una viene impanata con una pastella di farina bio di Cannara, speziata con la maggiorana, e fritta. L’altra viene cotta in forno con una piccola riduzione di miele di corbezzolo locale, e soia. Il tutto è infine nappato con la salsa di stravecchio di Modena e visciole selvatiche, su cui adagio perle di foie gras rese croccanti da un pizzico di sale di Maldon affumicato”. Dulcis in fundo, Il gioco del cioccolato. “Utilizzo il Valrhona spaziando dal cioccolato bianco fino a un grand cru all’80% in fonduta di mostarda di arance amare”.