LECCELLENTE racconta - Chef Giancarlo Polito
Dal cuore verde d'Italia all'azzurro mare del Salento
di Pino de Luca
“Giancarlo Polito viene per qualche giorno. Ti andrebbe di fargli un’intervista?”
Monica è sempre molto convincente al telefono. So qualcosa di Giancarlo, ho letto Vanity Fair e qualche articolo. In tutta franchezza parto con un pregiudizio per quello che ho letto. L’immaginario trasmesso da chi ne ha parlato mi ha lasciato trapelare l’idea di un giovane un po’ troppo fighetto, affettato, accondiscendente e adulatore. Insomma un tipo di persona che sa adattarsi all’interlocutore talmente tanto che non riesci a dargli forma.
Concordato per telefono l’incontro a Manduria. Avviene. Un omone alto quasi due metri con sguardo fiero e mani possenti. Che non disdegna attività più propriamente virili, quantunque da molti non condivise, come la caccia intesa più come contatto stretto con la terra che come predazione. Un uomo evoluto, colto, molto colto, ma che sa far trasparire con grande umiltà le sue doti. Non lui ad adattarsi ma in lui la capacità di mettere immediatamente a proprio agio.
Comparabili in stazza ci assiepiamo al tavolino di un bar per rendere giustizia ad un inutile pregiudizio di cui han colpa scrittori e lettore, nulla quella dell’oggetto della contesa.
Giancarlo è un giovane del sud, di Manduria per la precisione, che se ne parte per Perugia in cerca di una formazione di alto livello e con una passione dentro. Laurea in Economia e Commercio, come da impegno preso, ma la passione brucia e la fortuna incombe, assume la forma di Angelo Paracucchi, uno dei grandi della cucina italiana. Faceva spesso coppia con Luigi Veronelli e questo credo sia sufficiente a spiegare la caratura del nostro.
Angelo sente il fuoco di Giancarlo, Giancarlo apprende subito le linee di pensiero di Angelo e ne diventa epigono e cultore. Due settimane che cambiano una vita. La Passione per la Cucina, in maiuscolo, intesa come l’arte di “preparare un piatto capace di indurre un sorriso” prende forma concreta e reale.
Giancarlo ha creato un luogo nel quale riceve gli amici a Montone, in Umbria, nella dimora che fu del grande Capitano di Ventura Braccio. Il mitico luogo è La Locanda del Capitano. Non è un Ristorante ma un Salotto Gastronomico come Giancarlo lo definisce, perché il Salotto è il luogo più importante della casa quando si ricevono gli amici.
Sarebbe semplice riportare domande e risposte, ma il colloquio con Giancarlo non può essere così rappresentato, anche per non ingenerare immagini falsate. Giancarlo si dichiara Chef ma in realtà non lo è, non lo è affatto.
Dal mio punto di vista è più catalogabile nel novero dell’artigenialità. Attentissimo, come ogni bravo artigiano, al rigore ed alla disciplina, anche nella sua attività di insegnante di cucina, ha il mito della buona educazione, del rispetto altrui e del lavoro coordinato ove ognuno è responsabile del proprio spazio e della “pulizia” ad esso connessa. Un mantra è la pulizia per Giancarlo, un mantra che si ripete sempre e che non è da intendersi esclusivamente come “igiene” ma proprio come “cristallinità”, assenza di imperfezioni e attenzione massima anche al minimo dettaglio.
“Adoro lo spaghetto aglio e olio, ma in cucina non uso l’aglio” segna uno stile. Chi è troppo dominante può benissimo star da solo ma insieme ad altri non può, sovrasta, diventa spocchioso e irriverente.
E la cucina è armonia, dolce, suadente capace di comunicare stati d’animo e trasmettere emozioni, ma che deve farlo con grande leggerezza e piccoli segni. Per fare questo la cucina deve essere semplice, occorre usare pochi ingredienti ma usarli bene e proporre al cliente la propria narrazione anche scommettendo sullo stupore.
“Al cliente radicato alla tradizione, magari alla rusticità di una pasta e fagioli, non va proposta una violenza ma, forse, si può scommettere su una interpretazione evoluta del medesimo piatto. E lasciarlo stupito …”
E poi commentare una esperienza multisensoriale fatta di sapori noti e composizioni diverse, create nel rispetto della storia ma con la tecnica moderna. “Perché in cucina nulla va inventato, solo nuove interpretazioni, come attori che sul palcoscenico sentono il personaggio ma poi, poi hanno bisogno del pubblico. Comunque vada.”
Ne ha di frecce all’arco Giancarlo, e le prova e si prova. Magistrale il rapporto con il pesce di lago, con il persico reale. “Ne ho provato mille varianti, affumicato e finanche in sushi. Ma la tristezza è rimasta e dopo due settimane è uscito per sempre dalla carta.”
Ma la storia natìa della terra in mezzo al mare che si trova in mezzo alle terre, quel Salento che è immerso nel Mediterraneo con le sue erbe e i suoi profumi, con la ricchezza della cucina della terra d’adozione, il cuore verde dello stivale regalano a Giancarlo una infinità di possibili varianti che diventano, nelle mani e nello spirito di chi sa plasmarle, autentici gioielli.
Una conversazione portentosa su vini e oli da usare in cucina e fuori, l’estensione della cura dei piatti anche al contorno, alla scenografia, al servizio, alla musica. Con Giancarlo lo spettro degli argomenti è amplissimo, la conoscenza della materia prima che sceglie personalmente è eccelsa, ma è anche decisa la dichiarazione delle proprie idee: timo e alloro sopra tutto. E poi il quinto quarto che è meraviglia anche se difficile da proporre. Stupendo l’aneddoto di Miseria e Nobiltà: un mazzafegato servito con uno champagne d’altissimo rango che raccoglie il plauso degli astanti. Gli stessi che, appresa la composizione del cibo, son rimasti un po’ attoniti e poi, poi hanno capito quale era, per davvero, la nobiltà!!!
“I dolci li faccio ma non li mangio, ho una predilezione per il salato perché i dolci son troppo precisi e non riescono sempre a contenere l’anima del momento.”
E qui si chiude la conversazione con Giancarlo Polito, quarantasei anni ben spesi e speriamo che così procedano ancora per tanto tempo. Per lui ma, diciamolo con franchezza, anche per noi.
Ci lasciamo così: in lui il bisogno di andare a mangiare del pesce di mare e in me la voglia di saggiare il Salotto Gastronomico alla Locanda del Capitano. Spero che un po’ sia venuta anche a voi.